Studi Emigrazione – giugno 1992 – n.106

A partire dagli anni Settanta, notava nel 1983 Wihtol de Wenden, la donna immigrata «ha cessato di essere considerata semplicemente come fattore di sostegno all’emigrazione maschile, solo destinata a favorire l’apporto demogra­fico, per entrare di diritto nella struttura del mercato del lavoro e acquisire una relativa autonomia di comportamenti. A poco a poco, i problemi della donna migrante sono stati considerati fuori dal quadro familiare e dal marito; il suo ruolo si estende al di fuori dello spazio domestico che gli uomini controllano sempre meno. E ancora, un numero crescente di donne emigrano sole o celibatarie, sia perché la loro funzione nell’economia locale non è più vista come essenziale, ed esse sono marginalizzate in alcune società, sia perché cercano di fuggire la società patriarcale. Di conseguenza, l’emigrazione femminile non si limita a migliorare il livello dei redditi della famiglia, i consumi e lo stile di vita individuali, ma contribuisce a veicolare quelle aspirazioni che vanno nel senso di un miglioramento della condizione delle donne nelle zone d’origine».