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A cura di Francesco Della Puppa e Giuliana Sanò

Il numero 220 di Studi Emigrazione curato da Francesco Della Puppa e Giuliana Sanò, si propone di affrontare sistematicamente la fase immigratoria che ha caratterizzato l’Italia nel passato decennio. Vuole in particolare analizzare il sistema di accoglienza italiano e verificare la situazione di quanti sono rimasti fuori, pur provando a inserirsi nei contesti socio-territoriali locali.
I curatori e gli autori di questo numero sottolineano che da due decenni l’Italia si deve confrontare con migrazioni internazionali “forzate” a causa della propria posizione al centro del Mediterraneo. Di conseguenza è diventata un Paese di primo approdo e una terra di transito per chi fugge da conflitti militari, crisi politiche, catastrofi ambientali e dal progressivo, ma inarrestabile, depauperamento di risorse.
Tale fenomeno è iniziato già alla fine del secolo precedente con l’arrivo via mare di esuli albanesi e di quanti scappavano dalla guerra del Kosovo. A questi si aggiungono tra il 2008 e il 2013 chi abbandona il Corno d’Africa e il Maghreb. Inoltre tra il 2011 e il 2013 la Primavera araba, la guerra civile libica e il conflitto siriano provocano una nuova particolare ondata, cui nel 2014-2017 si sommano oltre 600.000 immigrati sub-sahariani, del Corno d’Africa e asiatici.
Crescendo il numero dei nuovi arrivati, aumenta pure quello di coloro ai quali è negata la protezione. Una parte di questi cerca di rimanere nella Penisola in condizioni di estrema marginalità e fragilità. Un’altra cerca di varcare le frontiere e di dirigersi verso l’Europa centro-settentrionale o la Francia. I primi devono accettare condizioni abitative precarie e poco salubri e condizioni lavorative di intenso sfruttamento. Situazione per altro comune anche a molti soggiornanti regolari. Infatti, come evidenziano i curatori, in Italia la regolarità amministrativa in genere non coincide con l’inclusione sociale.

a cura di Paola Corti

In una produzione storiografica ricca ormai di numerose ricerche dedicate alle donne e ai rapporti di genere in differenti periodi storici, sono davvero scarsi gli studi che in Italia hanno esaminato la condizione femminile in contesti diversi da quelli popolari o in ambiti di lavoro non esclusivamente domestico, operaio e contadino. Tra le non numerose pubblicazioni va annoverato un volume che a suo tempo ha permesso di leggere nel lungo periodo come, soprattutto dopo il declino della presenza spagnola in Italia, e con la fine della reclusione domestica femminile tra i ceti aristocratici, e poi anche tra quelli borghesi, si siano registrati non trascurabili ruoli culturali delle donne all’ interno dei salotti letterari. Questi ruoli hanno assunto dimensioni più rilevanti nei secoli seguenti: dapprima con l’Illuminismo, grazie all’estendersi di tale forma di intrattenimento; in seguito, con la crescita dei salotti in città dove, come a Torino o in quelle di altri stati preunitari, si rifugiavano gli esuli risorgimentali; e infine anche altrove, nel primo Novecento, grazie alla più ampia diffusione dei salotti (Betri e Brambilla, 2004).

E proprio sul Novecento, tra le altre ricerche di genere condotte a livello regionale, si è incentrata alcuni anni dopo un’indagine diretta ad esaminare, per il Piemonte, la presenza femminile in contesti lavorativi e in ambiti meno analizzati, come le professioni liberali, l’imprenditoria e le carriere politiche (Audenino, Corti, 2007; Castagnoli, 2007; Silvestrini, Simiand, D’Urso, 2007).

Edited by / a cura di Jason Zuidema – Kevin Walker

We are pleased and honoured to be guest-editing this issue of Studi Emigrazione.
Even before we learned that an issue would be dedicated to our 50th anniversary conference, we were already thankful for ICMA’s close relationship to the Scalabrinian Congregation through our many shared members (some of whom have contributed here), and above all through Fr Bruno Ciceri, the architect of this conference and an inspiration to many of us, especially those of us indebted to his advocacy for fishers’ welfare. There were so many excellent, passionate presentations given on ministry to seafarers, fishers, and their families in Kaohsiung, and we are very pleased to be able to publish some of them here for posterity and for sharing with other ministries to migrants. For those reading who serve migrants in other ways, we hope that you find these articles on maritime ministry informative and applicable to your own work. Grateful as we are for all the wisdom shared in the presentations here presented as articles, we hope that through the articles might shine through that which we most valued in this conference, the fellowship that was felt in the question times after the presentations, the group excursions, and the conversations over meals. The conference was an opportunity not only to teach each other and be taught, but to rejoice in being united in a shared purpose, saying with the Holy Spirit, «Behold, how good and pleasant it is when brethren dwell together in unity!» (Psalm 133).

A cura di Stéphane Mourlane

I testi pubblicati in questo dossier sono stati presentati nell’ambito del convegno organizzato a Roma il 25 e 26 marzo 2019 in occasione dell’inaugurazione della mostra Ciao Italia. Un secolo d’immigrazione e di cultura italiana in Francia (1860-1960) all’Institut français-centre Saint-Louis. Un convegno che ha coinvolto storici, sociologi, politologi e geografi francesi e italiani con lo scopo di analizzare l’importanza e la grande fluidità dei movimenti demografici tra l’Italia e la Francia nell’ultimo secolo e mezzo. L’incontro, ospitato dall’École française di Roma, rientrava in un quadro prettamente scientifico segnato dal profondo rinnovamento degli studi migratori, ma non poteva prescindere dal contesto delle relazioni franco-italiane sottolineato dalle parole di benvenuto di Christophe Musitelli, consigliere culturale dell’ambasciata di Francia a Roma. L’ambasciatore francese in Italia era stato richiamato a Parigi “per consultazioni” qualche settimana prima, il 7 febbraio, momento culmine nel deterioramento dei rapporti tra i due paesi, una decisione simbolica eccezionale tra paesi amici e alleati, che non aveva precedenti, tra la Francia e l’Italia, dopo la Seconda Guerra mondiale. Il ministero degli Affari esteri considerava che «La Francia, da diversi mesi, è stata oggetto di ripetute accuse, di attacchi infondati, di dichiarazioni oltraggiose»3 da parte dei dirigenti italiani della coalizione al potere Lega-Movimento 5 stelle. Alle dichiarazioni aggressive di Matteo Salvini, allora vicepresidente del Consiglio, contro il presidente Macron, si era aggiunta la visita in Francia di Luigi Di Maio, l’altro vicepresidente del Consiglio, per sostenere il movimento di contestazione dei “gilets jaunes”. Già il 12 gennaio 2019, il giornale Le Monde evocava «un lento divorzio tra la Francia e l’Italia» segnato a livello governativo da divergenze sul piano economico, sulla questione libica e sugli orientamenti dell’Unione Europea. La questione migratoria costituiva uno dei maggiori punti critici, che alimentavano nell’opinione pubblica italiana il “sentimento antifrancese”.

a cura di Matteo Sanfilippo

Negli ultimi sessanta anni non sono state rare le lamentele riguardo allo stravolgimento culturale e antropologico di Roma prima a causa dell’arrivo di connazionali da altre regioni e in seguito per quello di non italiani e soprattutto di non europei. Secondo chi deplora tale trasformazione, la città avrebbe così perso la propria “anima”, quella, per intenderci, alla base delle opere di Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) e Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, 1871-1950), e sarebbe diventata un amalgama di persone accomunate soltanto dal risiedere nello stesso centro urbano. Il lamento sul declino della pristina romanità non è nuovo. Una lunga tradizione novecentesca, locale e internazionale, lo ascrive alla caduta dello stato pontificio e all’annessione al Regno d’Italia. Basti pensare alle lettere di Henry James agli inizi del Novecento (Edel, 1977: 632). In esse lo scrittore statunitense, immigrato in Inghilterra, spiega come il divenire capitale del Regno abbia cancellato le caratteristiche più peculiari dell’Urbe. A quelle pagine potremmo accostare, con un balzo di quasi ottanta anni, la scritta che campeggiava all’ingresso della fermata Lepanto della metropolitana, poco dopo la sua apertura. In essa un autore anonimo invitava gli italiani ad andarsene dalla città. Oggi, però, la lamentatio della decadenza romana non accusa più l’Italia di aver invaso o snaturato Roma e non sottolinea le ipotetiche conseguenze della presenza di troppi nuovi abitanti, italiani o meno. Sottolinea invece l’inefficienza del governo locale, che ha lasciato la città in mano a «topi e gabbiani» (Veneziani, 2019a). Mentre organizziamo questo fascicolo della rivista, stanno cambiando le espressioni, soprattutto populiste, se non dichiaratamente di estrema destra, del disagio di vivere in una metropoli, che sta evolvendosi verso non si sa bene quale modello. Si contestano meno il governo nazionale o i nuovi immigrati, mentre si critica la giunta comunale e la sua incapacità di risolvere l’emergenza “rom”. Il drastico calo del numero dei rifugiati nella Penisola ha infatti diminuito il “pericolo” di nuovi arrivi e le preoccupazioni sembrano ormai altre, pur se sono ancora vivaci le derive xenofobiche.

a cura di Lorenzo Prencipe e Matteo Sanfilippo

Il 17 dicembre 2018 si è tenuto nella biblioteca del Centro Studi Emigrazione (CSER) il seminario che ha fornito i testi per la parte monografica di questo numero, organizzato dal CSER con la partecipazione della Direzione generale della Congregazione scalabriniana, dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI) e dell’Ufficio Comunicazioni scalabriniano (UCOS). L’idea del seminario era in sé piuttosto semplice e immediata. A distanza di 130 anni dalla legge Crispi per l’emigrazione italiana del 30 dicembre 1888 e dal relativo commento di mons. Scalabrini (Il disegno di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e proposte, 1888) si voleva vedere come il processo legislativo e il relativo dibattito si sia venuto evolvendo sino a oggi e quale contributo vi abbiano dato la Chiesa cattolica e in particolare Scalabrini e gli scalabriniani. Il 1888 era dunque soltanto l’inizio di un processo ancora oggi in corso e di una riflessione giuridica, sociale e religiosa sull’impatto delle migrazioni, allora in uscita e oggi in entrata e in uscita, nella Penisola italiana. Prima della legge Crispi troviamo nel neonato regno italiano solo norme relative ai passaporti, alcuni regolamenti di polizia e due circolari un po’ più articolate (Menabrea del 1868 e Lanza del 1873). In tale situazione, la legge del 1888 può essere considerata la prima enucleazione giuridica complessiva sulle migrazioni italiane ‒ come mostra il testo di Dolores Freda ‒ e anticipa il più noto e sistematico intervento legislativo del 1901, per altro sempre seguito e commentato da Scalabrini, come sottolinea Giovanni Terragni nel suo contributo. Per capire le motivazioni della legge e della riflessione di Scalabrini è, però, necessario inquadrarle nella concreta vicenda della mobilità storica del tempo. A tale scopo, nel corso della prima seduta seminariale, Emilio Franzina ha dipinto un quadro di quanto accaduto tra Vecchio e Nuovo Mondo sul finire dell’Ottocento.

a cura di Paolo Barcella

The present volume intends to propose an overview of the literary production of immigrants and authors of foreign origin who passed through or were residents in Switzerland and post-war Germany, that is the two European countries whose migration policies best corresponded to the model that identifies the immigrant with a “guest worker” (gastarbeiter). The immigrants’ condition in these two countries could vary according to the quality of bilateral agreements between local governments and the ones of their countries of origin. In addition, due to the European integration process, their condition has undergone important transformations from the post-war period until now. Nevertheless, as some of the essays highlight even from a cultural-historical perspective, the structure of the initial migratory policies has continued to have consequences on immigrants, on their descendants, and on their selfperception. The collected essays deal with the works produced by individuals belonging to different national groups, analyze them from different theoretical perspectives, but try to keep alive the dialogue between migratory history and the respective literary production.

Anche quest’anno, il primo numero della rivista raccoglie gli Atti della Summer School “Mobilità umana e giustizia globale”, promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Institute, l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo e la Fondazione Migrantes, con il sostegno del Rotary Club di San Donato milanese e la consulenza della Fondazione ISMU.

L’esplorazione della mobilità geografica al di là di convenzionali spiegazioni push-pull è al centro dei contributi di questo dossier. La consapevolezza che gli individui e le famiglie decidono di migrare o di spostarsi altrove non solo per fuggire da guerre o per trovare migliori condizioni salariali, ma anche per seguire aspirazioni di studio, di vita e sentimentali non realizzabili nel contesto in cui risiedono, è ormai largamente condivisa tra gli studiosi di migrazioni. Questa consapevolezza ha fatto sì che, nel corso degli ultimi due decenni, un numero crescente di studi si sia focalizzato sui vissuti, le esperienze e gli immaginari di coloro che vorrebbero emigrare o sono emigrati. Per rendere conto delle ragioni per cui le persone si spostano è necessario non solo comprendere le condizioni strutturali (economiche, politiche) in cui si trovano e le risorse che hanno a disposizione per farlo, ma anche ripercorrere gli immaginari dei protagonisti, le loro aspirazioni e desideri (Carling, 2002; Mai e King, 2009; Bal e Willems, 2014).

In un’intervista pubblicata da Agorà, mensile delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, il regista Villi Hermann spiegava, a proposito di uno dei suoi film più noti:
ho fatto, nel 1974, Cerchiamo per subito operai1 che è la storia dei frontalieri nella zona di Lugano; dei 30.000 frontalieri che entravano ogni giorno in Svizzera e che dovevano uscire alla sera perché non avevano neanche il diritto di restare a dormire in Svizzera. Il filo conduttore del film è il racconto di una vedova che riceve qualche soldo per un incidente di lavoro. Le altre storie che si intrecciano sono quelle di questi frontalieri delle loro difficoltà di inserimento nella nostra società e delle successive difficoltà di reinserimento in Italia. All’inizio degli anni Settanta, l’opera di Hermann contribuiva alla genesi di un filone di prodotti mediatici e audiovisivi dedicati ai frontalieri, ossia a quella particolare tipologia di lavoratori in movimento che stavano diventando sempre più numerosi e rilevanti nel contesto economico, politico e sociale elvetico. Nell’intervista, Hermann sottolineava come i frontalieri non avessero «neanche» il diritto di rimanere a dormire nel paese dove erano impiegati, accennando alle loro difficoltà di «inserimento nella società»: l’uno e l’altro aspetto non erano tuttavia gli effetti collaterali e involontari di un processo – come dalle parole del regista si potrebbe eventualmente dedurre – ma erano l’esito di una scelta politica precisa che definiva per via legislativa come condizione base per l’acquisizione di un permesso da frontaliero quella di non avere alcuna relazione con il territorio svizzero, all’infuori di quanto fosse necessario allo svolgimento della propria attività professionale. I frontalieri, in sostanza, erano la quintessenza del gastarbeiter, il lavoratore ospite, nella misura in cui non solo erano stranieri di cui si intendeva limitare l’inserimento nella società locale, ma non disponevano nemmeno della residenza, rimanendo di conseguenza esclusi da tutti i diritti a essa connessi.

Cari lettori,
dall’anno 2020 la nostra rivista L’Emigrato non sarà più edita, ma entrerà a far parte della Rivista “Scalabriniani”.

Cari lettori,
dall’appuntamento tanto atteso delle vacanze o anche dall’impegno per momenti di riflessione o volontariato, è stato anche segnato dall’improvvisa frenata di uno dei governi fondatori dell’Unione Europea: mi riferisco alla crisi politica italiana.

Cari Lettori,
Giugno è sempre un mese speciale per i missionari scalabriniani: il ricordo del Fondatore Scalabrini, da un lato, “segna” proprio l’inizio del mese attraverso la commemorazione annuale della morte, avvenuta il 1° giugno, dall’altro, con la implicita consegna ai suoi missionari di un’eredità viva ed attuale.

Cari Lettori,
La Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, ha indirizzato a fine febbraio una lettera al Premier italiano Giuseppe Conte chiedendo al suo governo di chiarire quali misure intenda adottare per garantire la continuità dei servizi essenziali per i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione.

Cari lettori,
Il Santo Padre, in una lettera inviata ad Enzo Bianchi, Fondatore del Monastero di Bose, in occasione del 50º anniversario della Comunità monastica, esprime “apprezzamento specialmente per il ministero dell’ospitalità che vi contraddistingue: l’accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l’ascolto attento di quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione; il servizio del discernimento per i giovani in cerca del loro ruolo nella società”.

Cari lettori,
Nelle nostre relazioni interpersonali avvengono infiniti scambi comunicativi sotto forma di linguaggi verbali e non verbali e può capitarci di prevaricare il punto di vista dell’altro/a. Ciò accade quando nessuno si preoccupa di capire perché dall’altra parte la persona è convinta di quello che dice.

Cari lettori,
Come è noto ai più, il metodo induttivo è un processo conoscitivo che muove dal particolare al generale: uno scienziato, ad esempio, parte dall’osservazione di fenomeni particolari e concreti per giungere ad enunciazioni di leggi generali ed universali che spieghino anche gli altri fenomeni simili.

Cari lettori,

Cari lettori,
In occasione della giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, celebrata lunedì 20 novembre, la Fondazione ISMU (http://www.ismu.org/minori-stranièri-non-accompagnati/) ha segnalato come la presenza dei minori stranieri in Italia si sia consolidata nel tempo.

Cari lettori,
“Aiutiamoli a casa loro!” ed espressioni simili, lapidarie, sono ormai all’ordine del giorno quando si tratta di parlare di migrazione.

Presentiamo in questo numero due note che puntualizzano la problematica della donna emigrata, la prima nello sviluppo storico dell ‘emigrazione italiana, la seconda in un contesto specifico di emigrazione come quello della Germania Federale. Le due note sono precedute dall’intervento che, sullo stesso argomento, fece il Rappresentante della S. Sede alla Conferenza Mondiale dell’Anno Internazionale della Donna,

Presentiamo in questo numero alcuni risultati parziali di una inchiesta che il CSER sta conducendo sui giovani nati da genitori italiani in Gran Bretagna. La ricerca (unitamente · ad indicazioni di tipo operativo) intende portare nuova luce sul tanto dibattuto tema “della seconda generazione” che, specie nell’esperienza statunitense ha trovato ampie e specializzate trattazioni, ma la cui modellistica non sembra sia stata ancora riferita ad altri contesti nazionali, non molto dissimili, per alcune componenti, alla realtà sociale americana.

Nei giorni 10- 12 giugno 1975 avrà luogo a Malta la XXXIV riunione del Comitato Cattolico per le Migrazioni intra- europee della CICM (Commission Internationale Catholique pour les Migrations) di Ginevra. Tema della riunione : “Lo Statuto del lavoratore migrante”. Il Centro Studi Emigrazione ritiene utile presentare ai suoi lettori una breve storia dei tentativi compiuti finora per realizzare questo obiettivo.

In tutti i convegni annuali di questo aprile 1975 la preoccupazione di “fare insieme” ha trovato modo di esprimersi con un grado di convinzione forse mai raggiunto in precedenti riunioni, Non che si sia toccato l’obiettivo, neppure a livello di mozioni finali , ma l’esigenza altamente proclamata non dovrebbe mancare di portare dei frutti, almeno a lungo termine.

I ripetuti e prolungati applausi che hanno scandito il discorso conclusivo dell’On. Granelli alla fine della Conferenza Nazionale dell ‘Emigrazione sono stati, anche a nostro parere, ben meritati. Egli ha riempito un vuoto che né le precedenti quattro relazioni introduttive, né le settanta comunicazioni scritte, ne i trecentoventi interventi avrebbero potuto sufficientemente colmare. Vogliamo riferirci alla magistrale saldatura tra spinte ideali e realizzazioni concrete, saldatura
che ben risalta ne l breve discorso conclusivo di Granelli.

La stampa non cessa di fornire dati preoccupanti circa la crescente disoccupazione che sta colpendo anche le economie più agguerrite come sono quel le della Germania e della Svizzera. Si parla soprattutto cella Germania per ché in questo Paese
i disoccupati stanno raggiungendo la cifra di un milione e il flagello minaccia di colpire in modo abbastanza unilaterale i lavoratori stranieri .

La stampa non cessa di fornire dati preoccupanti circa la crescente disoccupazione che sta colpendo anche le economie più agguerrite come sono quel le della Germania e della Svizzera. Si parla soprattutto cella Germania per ché in questo Paese
i disoccupati stanno raggiungendo la cifra di un milione e il flagello minaccia di colpire in modo abbastanza unilaterale i lavoratori stranieri .

Il numero di novembre e dicembre di Selezione CSER porta un contributo di riflessione supplementare sulla preparazione
dell’avvenimento che il mondo dell’emigrazione sperava potesse realizzarsi prima della fine del corrente anno: la Conferenza
Nazionale dell’Emigrazione.

La prima Conferenza Regionale dell’Emigrazione in Italie fu tenuta ad Udine nel dicembre 1969 ,organizzata dall’Amministrazione del Friuli-Venezia Giulia. E l’anno successivo fu approvata e pubblicata in quella Regione la L.R.26.6. 70 n.24, che istituì la Consulta Regionale dell’Emigrazione, disponendo una serie di provvedimenti in favore dai lavoratori emigrati e delle loro famiglie .

Apriamo con una nota inviata dal Centro Studi Emigrazione al Convegno della “2a Giornata del medico”. Gli studi sulla patologia dell’emigrante confermano l’opportunità frequente richiamo alla cautela quando si parla di integrazione di emigranti
che sono spinti ad espatriare dalla necessità e rimangono in balia della provvisorietà e della precarietà.
La provvisorietà può essere voluta, perché molti emigranti mirano al rientro, ma la precarietà viene dall’esterno: rivolgimenti politici, recessioni economiche, iniziative antistranieri, atmosfera, insomma, avvelenata.

Dal prossimo anno “Dossier Europa Emigrazione” confluirà in un’altra rivista scalabriniana “L’Emigrato”, mensile di emigrazione e immigrazione in Italia e in Europa. La razionalizzazione delle nostre presenze nel campo dei media ed un migliore utilizzo delle forze disponibili ci obbligano ad imboccare la strada della sinergia. La poca appetibilità del tema migratorio per cui gli abbonamenti a DEE non hanno mai superato le mille copie e l’aumento dei costi tipografici e postali hanno evidentemente giocato a nostro sfavore.

Il fenomeno delle migrazioni, con le sue complesse problematiche, interpella, oggi più che mai, la Comunità Internazionale e i singoli Stati. Questi tendono per lo più ad intervenire mediante l’inasprimento delle leggi sui migranti ed il rafforzamento dei sistemi di controllo delle frontiere e le migrazioni perdono così quella dimensione di sviluppo economico, sociale e culturale che storicamente possiedono.

Il Convegno sull’informazione svoltosi a Berlino i giorni 30 giugno -2 luglio 1995 è stato definito dal vice presidente vicario del CGIE, Lorenzo Losi, “momento di incontro di tutte le forze sociali di emigrazione”. Esso ha permesso un utile confronto tra due pianeti finora non comunicanti. I big dell’ir1formazione e i guru della comunicazione hanno finalmente scoperto le potenzialità degli italiani all’estero che non costituiscono più un problema marginale, senza peso reale a livello nazionale ed internazionale. “Nel villaggio globale non esistono più centro e periferia” (Doc. fin.).

La Chiesa italiana sta guardando con crescente interesse al suo appuntamento decennale di Palermo del prossimo novembre 1995 “Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia”; un interesse che sembra mobilitare le sue strutture nelle loro tante articolazioni centrali e periferiche. Sfogliando il SIR, il Servizio d’Informazione Religiosa della GEI, ci si imbatte ogni volta in rapide sintesi dei tanti incontri, programmi e documenti di lavoro delle diocesi e di altre realtà ecclesiali sul tema.

Il convegno continentale dell’informazione per le comunità italiane dell’America Latina, svoltosi a San Paolo del Brasile dal 15 al 17 dicembre 1994, voluto dal Consiglio generale degli italiani all’estero d’intesa con la direzione generale Emigrazione e Affari Sociali del ministero degli Affari Esteri, realizzato con la collaborazione dei Comites, dei media dell’informazione italiana all’estero, delle istituzioni e delle associazioni italiane in America Latina, rivolge un ringraziamento particolare agli operatori dei media italiani all’estero che per anni, tra difficoltà considerevoli, hanno saputo supplire all’assenteismo dello Stato nel diritto all’informazione, garantendo la diffusione di notizie all’interno delle diverse componenti sociali presenti nei paesi di accoglimento, fatto che ha favorito la loro integrazione e presenza nelle realtà dell’America Latina.

Che le comunità italiane all’estero siano invisibili, residuali oppure pienamente integrate nel contesto socioeconomico dei paesi ospitanti tanto da renderle per le istituzioni e la società italiana un mero oggetto di ricordo, sono in tanti oggi a presumerlo, o per posizione di comodo o per una falsa lettura della realtà migratoria. Nemmeno sane ventate di ottimismo, di speranza e di creatività come lo spirito unitario ed “efficientista” che aveva portato alla realizzazione della Il CNE o all’istituzione di organismi consultivi, come i Comites o il CGIE che, seppure nei loro evidenti limiti, miravano ad un ascolto della base e ad una volontà di raccordo e di collaborazione, sono riuscite a cancellare questo atteggiamento diffuso di disinteresse e apatia.

La potenza dei numeri evoca l’immagine dell’emergenza: i 2,5 miliardi di abitanti ospitati dal pianeta circa cinquant’anni fa sono già oggi più che raddoppiati, supereranno i 6 miliardi con l’avvento del nuovo secolo e potrebbero assestarsi attorno agli 11 miliardi. Ma ciò, rincarano gli esperti, solo se gli attuali ritmi di incremento dovessero progressivamente attenuarsi. Come si vede, le argomentazioni non mancano.

Nel 1994 le elezioni politiche in Italia a marzo e quelle europee in giugno dovrebbero giocare un ruolo decisivo nel processo di rinnovamento delle società europee. Almeno così vanno ripetendo i candidati, anche se, in ambito migratorio, mai come in questi mesi è emersa l’insignificanza ed il carattere di minoranza invisibile che le migrazioni italiana ed estera hanno permanentemente assunto.

Anziani ed esercizio di voto negato: a prima vista potrebbe apparire un connubio impossibile o quanto meno azzardato. Ma se ci soffermiamo un istante a riflettere su queste due realtà vi scopriremo legami molto stretti. La storia dimostra come l’umanità sia percorsa da ricorrenti tentazioni di ostilità nei confronti delle migrazioni. Si ignora il mondo della mobilità forzata oppure non viene data la debita importanza a diritti specifici dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie, come quello appunto dell’esercizio del voto o di una vecchiaia serena e dignitosa.

La Fusie sembra divenuta un ricordo, anche se non vanno dimenticate le idealità che l’hanno ispirata, il volontariato che vi ha immesso notevoli energie, il tentativo di creare una vera democrazia e soprattutto l’ansia di migliorare il flusso di
informazioni a beneficio delle comunità emigrate. Come non si devono dimenticare gli impedimenti di varia natura che hanno sempre di più ostacolato l’iter organizzativo della Federazione.

La seconda Conferenza nazionale dell’emigrazione – che il Ministro Andreotti ha affermato, in un’ occasione, doversi piuttosto chiamare “degli italiani nel mondo” – ha quindi saputo cogliere una dinamica di transizione proiettata verso il futuro.
Tra “politica dell’emigrazione” e “delle comunità all’estero” non vi é contrasto. La seconda nasce e germoglia sul tronco della prima. La transizione é nella natura delle cose: é imposta dalla cessazione del flusso migratorio di massa, senza
prospettive di ripresa, sia a causa del diverso carattere della disoccupazione odierna, che non genera più emigrazione, neppure all’interno del Paese, sia del brusco declino demografico, che ad un certo punto non potrà non tradursi, almeno
in certe zone del Paese, in scarsezza di manodopera. E’ imposta dal ricambio generazionale, che rende letteralmente improprio l’appellativo di emigrati per gli italiani di seconda generazione, nati e vissuti all’estero.

Nel dare inizio ai lavori del nostro 33° Convegno Nazionale, é nel Nome del Signore Gesù che rivolgo a tutti Voi un saluto di pace ed un cordiale benvenuto in questa casa, che per la quarta volta ci ospita. Mi pare sia dovere, oltre che motivo di gioia, mettere subito in evidenza la insolita partecipazione a questo Convegno ecclesiale di un considerevole numero di
laici. A questi collaboratori, che nei modi più diversi sono impegnati nelle nostre Comunità, rivolgiamo tutti un caloroso “Siate benvenuti in mezzo a noi. Sentitevi come in famiglia”. Questo saluto é tanto più riconoscente, qualora si consideri che essi in qualche maniera rappresentano qui la ricchezza di tutte le nostre Comunità e se pensiamo che molti, per essere qui presenti, hanno dovuto superare ostacoli non facili e forse prendere giorni di ferie.

Il tema scelto é la continuazione di quello dello scorso anno, quasi una esplicitazione operativa dei principi teologici dettati un anno fa da Mons. Sartori e Giovanni Bianchi. Allora era il Concilio e la nuova ecclesiologia da esso derivata che faceva da quadro di riferimento delle nostre analisi e discussioni. Quest’anno é invece il quadro prospettico di una “Chiesa emigrata” e del ruolo dei laici nella costruzione della stessa, che devono definire possibili e concrete linee operative del nostro essere pastorale.

All’inizio del corrente anno pastorale sono iniziati in diverse zone i Corsi di formazione cristiana di base.
Che la catechesi degli adulti rappresenti un tema decisivo per il futuro delle nostre Missioni é acquisizione certa ormai da molto tempo presso i missionari e operatori pastorali in Germania e Scandinavia. Che poi questa acquisizione sia rigidamente programmata anche nella nostra concreta vita pastorale, per diversi motivi, é un’altra cosa. E’ indubbio comunque un notevole fervore e una chiara volontà di formare cristiani e comunità adulte, cosi come sono stati delineati soprattutto nei nostri ultimi Convegni nazionali.

Nel dare avvio ai lavori di questo 32° Convegno nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia, desidero dare a tutti voi convenuti a Caorle, in questa ospitale casa della Diocesi di Vittorio Veneto, il piu’ caloroso e cordiale saluto.
Durante i giorni del Convegno avremo modo di ricordare con riconoscenza, singolarmente, gli amici e gli ospiti, che con loro presenza hanno voluto testimoniarci la loro vicinanza, la loro stima e, soprattutto, la loro solidarietà con gli emigrati.

Sono stati soprattutto due i “momenti” che hanno caratterizzato il nostro recente Convegno Nazionale a Caorìe. Il primo, quello teologico, di forte mediazione culturale, costituito dalle dense relazioni di Sartori e Bianchi intese a fondare, dal punto di vista teologico appunto e focalizzare, dal punto di vista operativo, i grandi temi riguardanti il ruolo dei laici: entro quale orizzonte ecclesiale ridefinire la identità e i compiti dei laici cristiani nella chiesa e nella società; quale
tipo di presenza é ad essi richiesto; quali i compiti di evangelizzazione e gli spazi di azione; quale tipo di associazionismo e quale ruolo esso é chiamato a svolgere in un momento di piena crisi dello stato sociale; in quali forme di vita, in quali funzioni e scelte dobbiamo tradurre la solidarietà per farla diventare concreta testimonianza cristiana, oggi.
Sono altrettanti stimoli che formeranno la piattaforma su cui innestare ed elaborare precisi interventi operativi al Convegno Nazionale del prossimo anno.

Durante i mesi di Ottobre e Novembre dello scorso anno si sono svolte presso l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia e in altre città della Germania una serie di conferenze, dibattiti, tavo1e rotonde sui pi6 diversi aspetti del fenomeno migratorio in questi ultimi cento anni, in occasione del centenario di fondazione del Missionari Scalabriniani per gli italiani all’estero .

Dal 17 al 21 novembre scorso si é svolto a Roma il convegno sul tema “Uomini, nuove tecnologie, solidarietà: il servizio della chiesa italiana”, promosso dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro. Tra i mille delegati che rappresentavano le varie associazioni e gli uffici diocesani per la pastorale sociale e il lavoro, sono stati invitati, crediamo per la prima volta, anche due rappresentanti dei missionari italiani in Europa che hanno presentato un documento – che riportiamo in questo Quaderno – riguardante la situazione degli emigrati nell’attuale momento storico.

Le manifestazioni che si stanno svolgendo in occasione del centenario di fondazione della Congregazione Scalabriniana (28 Novembre 1887) consentono di riscoprire e approfondire i principi ispiratori che Mons. Scalabrini ha voluto suggerire ai suoi Missionari nell’azione pastorale verso gli emigrati.
Mons. Luigi Petris, il 30 Ottobre scorso a Colonia, ai missionari italiani in Germania ne ricordava tre: la fedeltà all’uomo emigrato, l’ecclesialità, l’universalità.
Dalla data di fondazione i Missionari Scalabriniani conservano inalterato il primo articolo delle loro Costituzioni, l’articolo che ne specifica il fine: la dedizioni all’assistenza degli emigrati. In cento anni essi non hanno mai senti to il disagio, comune a diversi Ordini e Congregazioni Religiose, di essersi proposti una finalità precaria sul piano storico: non sentono la necessita di interessarsi di altro all’infuori dell’uomo migrante. El ‘uomo con le sue necessita li obbliga ad essere una Congregazione dagli obiettivi molto concreti, immediati e a partecipare alla vita degli uomini di oggi; li inserisce in maniera prepotente nella nostra società e fa loro sentire in tutte le sue dimensioni il mistero dell’incarnazione della Chiesa .

Il tema “laici nella Chiesa” era già emerso – sia pure in modo un tantino strumentale – durante il nostro ultimo Convegno Nazionale, soprattutto quando abbiamo discusso la necessita di una formazione che li rendesse “idonei di intervento in particolari settori di attività pastorali volontarie, sia come catechesi di animazione, sia come protagonismo all’interno delle comunità”.
Il problema é stato invece ripreso – nel recente Incontro dei Consigli di Delegazione in Europa a Friburgo – nelle sue connotazioni teologiche di fondo soprattutto nella relazione introduttiva di Mons. Antonio Cantisani che ha tocca to alcune tematiche particolarmente importanti e attuali, quali: la denuncia e la necessita di superare il monopolio clericale, ancora cosi esteso nell’odierna vita ecclesiale; la formazione teologica dei laici che consenta loro di assumere precise e specifiche responsabilità ecclesiali e non compiti puramente esecutivi; e infine la partecipazione dei laici nella Chiesa in modo particolare nei Consigli pastorali, intesi soprattutto come segni e strumenti di comunione.

Sia nei paesi formatisi, specialmente nel secolo scorso, col dominio e la prevalenza di popoli europei, – quali l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sud Africa, il Canadà, gli Stati Uniti del Nord, – sia in quelli, nei quali i popoli europei desiderano penetrare ed imporsi alle popolazioni indigene, – quali la Turchia europea, l’Asia Minore, la Siria, l’Egitto, la Cina, – le scuole costituiscono il primo e fondamentale strumento per la conservazione e la penetrazione nazionale da parte di quelle Nazioni che aspirano o ad esercitarvi una prevalenza, od a conservare i caratteri della propria nazionalità.

Chi, nel maggio del decorso anno 1915, avesse assistito ad Adalia alla partenza delle Missionarie e dei Padri Salesiani, che colà inviati due anni innanzi dalla associazione Nazionale a promuovervi una multiforme penetrazione italiana, ne erano allora richiamati a motivo della tensione dei rapporti fra l’Italia e la Turchia prodotta vi dalla dichiarazione di guerra, avrebbe provato una viva commozione agli addii della gioventù adaliotica a coloro che l’avevano per quasi due anni educata con affetto paterno e materno.

La colonizzazione, nel senso più comunemente da noi inteso, di riduzione a coltura di terre incolte, e di coltivazione intensiva di terreni già in qualche modo sotto coltura per parte d’una popolazione fitta e laboriosa, è problema, che non è ancora stato preso nel Nord-America, in quella considerazione nella quale, ad esempio, già è stato preso in Australia; la quale, come gli Stati Uniti, ha immense estensioni di tetra da coltivare. Si potrebbe anzi dire che gli Americani del Nord quasi non ne sognino l’esistenza, e la necessaria impellente soluzione; lo vedono solo come un problema di un molto lontano avvenire.

Gli ebrei hanno sempre sognato la riconquista della Palestina, la ricostituzione del Regno già sì prospero di Giuda e d’Israele. La terra promessa, scorrente latte e miele, i campi ubertosi, gli ulivi carichi di frutti dall’olio profumato, le viti pieganti sotto il peso dei grappoli, la casa colma d’ogni più bel frutto della terra, gli armenti numerosi, la grande tranquillità e la dolce pace, nel lavoro molle, inframezzato da feste e da tripudi, sono il sogno costante del popolo ebreo.

La questione dell’emigrazione, che tanto interessa per la sua vitale importanza nel nostro paese, si presenta ora in una fase non meno grave e preoccupante di quella, nella quale si presentava trent’anni fa, quando le energie sempre crescenti del nostro popolo avevano bisogno di nuovi campi d’espansione.

Se si vuole della lana, si pensa all’Argentina e all’Australia, dette enfaticamente le regioni del vello d’oro; se si vuole del cotone si corre in Egitto, in India, in America, i grandi centri di produzione cotoniera; se si vogliono grani è alla Russia meridionale, all’America ancora e all’Australia, che si ricorre, come è a queste ultime regioni che pure si fa ricorso per i minerali più importanti.

La questione è nota. Nel settembre del 1912 le quattro Società: la Navigazione Generale Italiana, La Veloce, il Lloyd Italiano e l’Italia stipulano in Rio de Janeiro col Governo federale brasiliano e col Governo dello Stato di S. Paolo un contratto per l’esercizio di una linea diretta di navigazione tra l’Italia e il Brasile.

Il fatto che vi sono in America importanti colonie italiane, che, sebbene situate sulla costa dell’Atlantico e del Pacifico, mancano di comunicazioni commerciali dirette coli’ Italia, denota, a noi sembra, una deficienza le cui conseguenze si ripercuotono in modo particolarmente grave ai danni dello sviluppo economico commerciale del nostro paese e della conservazione nazionale di quelle colonie.

Uno degli indizi più significativi delle sorti decadenti dell’italianità nelle Americhe è dato certamente dalla vita stentata della scuola italiana in quei paesi, pur cosi fortemente popolati da italiani.

L’anno scorso pubblicammo in vari numeri di questo bollettino la relazione del Rev. Dott. G. Capra sugli italiani in Australia, e molti lettori ci mostrarono di ciò il loro gradimento.

Tasks of the parish movement and the clergy in helping immigrants to integrate on the parish leve) in Anglo-Saxon countries, by Reverend Robert J. Fox

Les taches des mouvements paroissiaux et du clergé pour aider les immigrants à s’intégrer sur le pian paroissial dans ]es pays d’Amérique latine, par Mgr Luis E. Henriquez

Co-operation of activities for integration on the diocesan level, Rev. Claude J. Mulvihill

Cooperation between governmental authorities and religious organizations in integration matters on the national level, by Rt. Rev. Msgr. G. M. Crennan , P.A.

Préparation des émigrants dans les pays de départ en vue de leur intégration religieuse, par Mgr Fernando Ferris. P.A

Preparation of immigrants in the sending countries for future integration, by Mgr Fernando Ferris. P.A

L’apostolat dans les migrations, par Rév. P. Francesco Milini

Les migrations, espoir de l’Eglise, by Claude Ryan

Rassegna stampa anno 1982, tratta dai principali quotidiani italiani relativamente ad eventi di cronaca e politica sull’emigrazione italiana, realizzato a cura dell’Ufficio VII della direzione Generale dell’Emigrazione e degli affari Sociali del Ministero degli Affari Esteri.

Rassegna stampa anno 1982, tratta dai principali quotidiani italiani relativamente ad eventi di cronaca e politica sull’emigrazione italiana, realizzato a cura dell’Ufficio VII della direzione Generale dell’Emigrazione e degli affari Sociali del Ministero degli Affari Esteri.

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Rassegna stampa anno 1982, tratta dai principali quotidiani italiani relativamente ad eventi di cronaca e politica sull’emigrazione italiana, realizzato a cura dell’Ufficio VII della direzione Generale dell’Emigrazione e degli affari Sociali del Ministero degli Affari Esteri.

Rassegna stampa anno 1982, tratta dai principali quotidiani italiani relativamente ad eventi di cronaca e politica sull’emigrazione italiana, realizzato a cura dell’Ufficio VII della direzione Generale dell’Emigrazione e degli affari Sociali del Ministero degli Affari Esteri.